Cos’è la Pet Therapy? Quali sono le sue potenzialità terapeutiche?

La pet therapy ha grandi potenzialità di successo terapeutico perché gli animali suscitano interesse, curiosità, accendono la motivazione a interagire o a reagire, in modo inconscio, spontaneo. Fungono da facilitatori sociali, forniscono supporto emozionale, psicologico, sociale e cognitivo.

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A cura di: Dott.ssa Elena Ghelfi

Pet Therapy
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Pet Therapy o Thera-Pet? La denominazione “terapia mediata da animali” è stata spesso fraintesa e usata a sproposito da chi non conosceva a fondo la complessità e le vere potenzialità di questa attività, che trova le sue radici alla fine del 1700 con le prime osservazioni e utilizzo di animali durante la cura di pazienti neurologici, con disturbi mentali o emozionali.

Cos’è la Pet Therapy e come nasce

La nascita della “Pet Therapy” avviene solo nel 1961 grazie allo psichiatra infantile Boris Levinson, che col suo libro “The dog as a co-therapist”, documenta casi di bambini che hanno ottenuto notevoli miglioramenti utilizzando questa nuova cura, mirata, mediata da un coadiutore esperto, molto gradita ed empatica con i suoi piccoli pazienti.

Negli ultimi decenni la denominazione è stata modificata e ridefinita in AAA/T: Animal assisted activities and therapy; o IAA: Interventi assisititi con gli animali; o Therapy dog perché si riconosce al cane (o all’animale co-terapista) la leadership: è l’animale che catalizza l’attenzione del paziente o dell’utente e attiva tutta una serie di meccanismi fisici, ormonali e psicologici, che portano a benefici.

La base imprescindibile perché la terapia abbia successo è la relazione uomo-animale, ma non basta portare un animale in casa, in una scuola, in un istituto di cura o una Rsa perché ci sia beneficio e continuità nel miglioramento.

All’inverso, l’accudimento, il contatto fisico o anche solo la vista di un animale apportano significativi benefici, ma è la relazione il fulcro della cura.

I campi di applicazione

Bisogna distinguere tra attività terapeutiche e attività ludiche e/o di educazione. Le prime non sono universalmente adattabili e non possono essere applicate a tutte le persone ma, quando applicate e accettate, portano supporto sociale, psicologico ed emozionale molto valido.

Le attività rivolte al settore educativo vengono svolte in scuole e possono essere adattate al progetto e all’obiettivo sia in classe con lo scopo di informare, educare e favorire l’empatia e la compassione (non la pietà ma il “sentire-con”), oppure alla persona e in piccoli gruppi per aiutare disabili con ritardo mentale, autismo, iperattività.

In tal modo gli studenti coinvolti acquisiscono consapevolezza, manualità, fiducia e autostima anche nei confronti dei compagni.

Le applicazioni risultano quindi notevolmente diverse nei settori sociale, educativo e sanitario: scuole di ogni ordine e grado (dai nidi alle secondarie e superiori), comunità di recupero, carceri, residenze per anziani, ospedali, ma anche situazioni di handicap, in riabilitazione, in famiglia.

Animali impiegati e loro requisiti nella pet therapy

I cani e i cavalli sono certamente gli animali più utilizzati nella Pet Therapy, in misura minore – e con particolari obiettivi – si possono utilizzare anche gatti e conigli.

I cani sono certamente i più versatili le loro doti più significative: capacità di interagire con l’uomo, grande adattabilità, intelligenza e sensibilità fanno sì che questi animali siano in grado di svolgere compiti sofisticati e molto delicati.

Non esiste un cane ideale e utilizzabile in tutte le situazioni, esistono però dei requisiti che vanno valutati per capire se un soggetto può essere impiegato per le attività o le terapie assistite.

Il cane più idoneo è quello ben socializzato, educato, tranquillo, equilibrato, abituato a vivere in ambiente urbano e a stretto contatto con le persone.

Su queste basi lavorerà l’esperto addestratore cinofilo per la preparazione specifica e diversificata a seconda del compito che l’animale andrà a svolgere.

Taglia, razza, mantello e sesso non sono criteri di esclusione o di scelta, prima di tutto va individuato l’obiettivo: alcune razze, come Golden e Labrador retriever, sono maggiormente rappresentate come Pet Therapy dog o cani di servizio, ma anche un terrier o un meticcio possono risultare molto più utili nello svolgere specifici compiti, ad esempio come hearing dogs, i cani per non udenti.

L’addestramento specifico viene iniziato non prima dei 13-15 mesi di età, perché i cuccioli e cuccioloni non sono ancora pronti fisicamente e psicologicamente ad affrontare un percorso impegnativo e talvolta stressante.

La genealogia è estremamente importante: un animale con ascendenti sani, sia fisicamente che mentalmente, parte già con i presupposti migliori nella selezione del cane da utilizzare in questo campo.

Non sono esclusi a priori i meticci o cani da canili; per questi ultimi bisogna però essere consapevoli della necessità di prendere alcuni accorgimenti quali il testare a lungo il cane fuori dal canile e dall’ambiente protetto per essere certi della sua capacità adattativa e di socializzazione.

Anche per i cavalli usati in ippoterapia si deve seguire questa forma mentis: deve estinguersi l’idea e la pratica di utilizzare cavalli adulti o anziani, utilizzati e sfruttati a lungo per altri lavori e “riciclati” infine per attività con obiettivi riabilitativi.

Il cavallo deve rispondere a criteri ben precisi di conformazione fisica (brachimorfi o mesomorfi), temperamento e salute (a partire dagli appiombi).

Il contatto col cavallo è tattile e motorio, oltre ovviamente di intesa e di legame affettivo: il disabile motorio o psichico riceve da questo animale numerose stimolazioni: dal calore alla morbidezza di una carezza, fino alle stimolazioni propiocettive e di adattamento al movimento in sella grazie all’andatura regolare, rettilinea, basculante e lievemente oscillatoria che si ottiene durante le andature naturali del cavallo.

È quindi chiaro che in un cavallo problemi di zoppia, di andatura per difetti fisici o di mal pareggiamento dello zoccolo, possono creare grossi problemi o comunque vanificare i benefici di una terapia mediata con l’animale che non è un semplice ausilio o un mezzo ma un soggetto indispensabile.

FONTE: La Settimana Veterinaria

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