L’olfatto del cane per la tutela della biodiversità

Il cane con il suo olfatto può essere un elemento chiave anche per la salvaguardia dell’ambiente e per la tutela della biodiversità. Vediamo quando e perché.

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A cura di: Dott.ssa Gabriella Battiato

basset hound olfatto cane biodiversità
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Il 22 maggio è la giornata mondiale della biodiversità e, può sembrare strano, anche il cane può contribuire a salvaguardarla con il suo olfatto.

Esistono infatti cani specializzati e qualificati nel settore conservazione della natura e monitoraggio ambientale.

Il loro utilizzo è un elemento chiave per la salvaguardia dell’ambiente e per la tutela della biodiversità.

L’uso dell’olfatto del cane per la tutela della biodiversità

Questi cani specializzati sono addestrati a lavorare esclusivamente su una specie specifica in maniera da non creare disturbo alle altre presenti nell’area di interesse.

Utilizzando l’olfatto, anziché parametri visivi, il cane ispeziona più velocemente e in maniera capillare le aree oggetto di indagine anche di difficile accesso e percorribilità.

Secondo l’Ente nazionale della cinofilia italiana (ENCI), il cane da ricerca (detection) in ambito faunistico e ambientale può essere differenziato in:

  • scat detection dog, utilizzato per il rilevamento di tracce fecali di specie protette o specie invasive;
  • carcass detection dog, cioè  cani usati per il rilevamento di carcasse ai fini di monitoraggio sanitario, verifica della mortalità delle specie selvatiche, specialmente in corrispondenza di impianti eolici, nuove strade, nuovi insediamenti umani;
  • detection dog per il controllo o eradicazione di specie aliene;
  • detection dog per il rilevamento di malattie delle piante;
  • insects detection dog per il rilevamento di insetti e parassiti delle piante;
  • detection dog per il rilevamento di armi o munizioni occultate o utilizzate in zone protette.

Più nello specifico, nel settore faunistico-ambientale possono essere impiegate con successo differenti tipologie di unità cinofile.

Queste sono utilizzate per progetti di monitoraggio, conservazione e gestione della fauna e per quelli finalizzati alla mitigazione dei conflitti tra attività antropiche e fauna selvatica, quali quelle con cani:

  • per il monitoraggio della beccaccia e di altra selvaggina di piuma migratoria e stanziale;
  • tracking (cane da pista);
  • trailing (cane da traccia);
  • detection (cane da rilevamento);
  • per la conduzione e/o protezione delle greggi o delle mandrie;
  • per la specie cinghiale, lepre, volpe;
  • da recupero della fauna ferita.

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Alla ricerca delle specie aliene: il caso della cozza zebrata

Una delle sfide in materia ambientale e tutela degli ecosistemi è il contenimento delle specie aliene invasive introdotte dall’uomo da aree geografiche lontane e poi diramatesi con varie modalità.

Un caso significativo è quello della “cozza zebrata”, Dreissena polymorpha, un mollusco bivalve d’acqua dolce originario della Russia.

Nel corso degli anni questa specie ha invaso laghi e fiumi dell’Europa centro-occidentale e del Nord America.

I danni a carico delle specie native, ma anche delle infrastrutture sommerse, sono stimati in circa cinque miliardi di dollari nella regione dei Grandi Laghi del Nord America.

Questo perché, oltre ad essere un filtratore di plancton, crea vaste colonie che si attaccano alle superfici dure, arrivando a intasare i sistemi di raffreddamento delle centrali elettriche.

Per fermarne la diffusione, in Nord America sono state messi in atto dei progetti di eradicazione locale attraverso la prevenzione.

Uno di questi, ad esempio, ha cercato di controllarne la diffusione con cani di razza Pastore belga Malinois.

Il loro grande olfatto è stato utilizzato per la ricerca di questi molluschi sulla chiglia di barche, canoe, kayak, sulle attrezzature da pesca e su qualsiasi altro oggetto che potesse portare con sé larve o individui adulti di Dreissena.

Anche in questo caso, il processo di addestramento è lungo, richiede continuità, allenamento, oltre a pazienza ed empatia con il cane che dovrà svolgere questa ricerca.

Il recente caso delle carcasse di cinghiale e della peste suina

Un esempio di attività di monitoraggio per il rilevamento carcasse attraverso carcass detection dog è rappresentato dalle unità cinofile addestrate al rilevamento delle carcasse di cinghiale, quale strumento di prevenzione e controllo della peste suina africana (PSA).

Lo smaltimento delle carcasse infette di cinghiali è fondamentale nell’eradicazione della patologia.

Il virus della PSA infatti è estremamente resistente nell’ambiente: sopravvive, ad esempio, fino a 4 anni nelle carni infette.

Proprio per questo, la presenza di carcasse di cinghiali contaminati dal virus rappresenta una delle maggiori cause di mantenimento della malattia sul territorio.

Il loro smaltimento è quindiuno degli obiettivi più importanti per il contenimento della patologia.

A tal riguardo esiste il Progetto Pilota: “Utilizzo di unità cinofile addestrate al rilevamento delle carcasse di cinghiale come strumento di prevenzione e controllo della peste suina africana”.

Questo programma è finalizzato alla formazione di coppie conduttore-cane per il rilevamento delle carcasse di cinghiale, da utilizzarsi in operazioni di monitoraggio, nell’ambito dei progetti di prevenzione e controllo della peste suina africana.

Sono state già formate due unità cinofile cha hanno poi svolto giornate di monitoraggio nella Provincia di Alessandria.

Il progetto è stato realizzato da ENCI, con il patrocinio di ISPRA, Legambiente, SIEF e l’Università Federico II di Napoli, Dip. di Medicina Veterinaria.

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