
Arriva dall’Irlanda l’ipotesi che il ripristino delle popolazioni di predatori autoctoni potrebbe aiutare, in tutto il mondo, a tenere sotto controllo alcune delle specie invasive più problematiche.
Lo studio, finanziato dal Natural Environmental Research Council, ha coinvolto diversi di ricercatori.
Del team facevano parte studiosi della Queen’s University di Belfast, dell’Università di Aberdeen (Scozia), della Heriot-Watt University (Scozia), della Cornell University (USA) e della National University of Ireland di Galway.
La ricerca, pubblicata sul Global Change Biology, ha evidenziato che il ripristino dei predatori potrebbe fornire una soluzione a livello globale.
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Le specie invasive sono una minaccia per la biodiversità
Le specie invasive sono infatti una delle maggiori minacce alla biodiversità e la causa principale dell’estinzione dei vertebrati nell’ultimo secolo.
Il loro costo annuo stimato è di almeno 162 miliardi di dollari (USD).
Il loro smisurato sviluppo è dovuto in parte anche all’assenza delle popolazioni di predatori autoctoni che si sono esaurite a livello globale.
Questi animali sono invece essenziali per il funzionamento dell’ecosistema e per il mantenimento della biodiversità.
Quali predatori possono contrastare le specie invasive?
Il team di ricerca ha valutato quale effetto potesse avere sulle specie invasive la reintroduzione e il ripristino dei predatori autoctoni.
I ricercatori sono partiti basandosi su uno studio eseguito in precedenza che aveva mostrato come il recupero della martora nativa nel Regno Unito e in Irlanda abbia permesso di arrivare a un declino dello scoiattolo grigio invasivo.
Il dottor Joshua Twining della School of Biological Sciences della Queen’s University di Belfast e del Department of Natural Resources della Cornell University è l’autore principale dello studio.
Il ricercatore afferma che “In un mondo moderno che è scoraggiato dalla crisi ambientale e dal collasso ecologico, diventa più che mai importante cercare di ripristinare i predatori nativi negli ecosistemi dai quali sono scomparsi.
Questo vale a livello globale, ma è particolarmente applicabile in Gran Bretagna e Irlanda, dove abbiamo perseguitato tutti i nostri predatori di grossa taglia, fino all’estinzione, senza lasciare mezzi naturali di recupero”.
La lince e i cervi in Irlanda e in Gran Bretagna
La nuova ricerca fornisce prove evidenti che la lince in Gran Bretagna e in Irlanda potrebbe avere un impatto sulle popolazioni di cervi sika.
Questa è considerata una delle specie invasive più dannose per l’ambiente in Europa, perché pascola nei campi coltivati e “anella” gli alberi, strappandone la corteccia dalla base, causandone così la morte.
Si ritiene inoltre che questi cervi contribuiscano alla diffusione di malattie come la tubercolosi bovina e aviaria.
Questo nuovo studio evidenzia anche come il recupero della lince e del lupo in Europa potrebbe mantenere la popolazione di cani procione.
La loro riduzione al di sotto della soglia di persistenza della rabbia, aiuterebbe a controllare l’enorme minaccia per la salute umana e animale che questa malattia rappresenta.
Esempi oltreoceano
Joshua Twining e i suoi colleghi hanno analizzato anche la situazione oltreoceano negli Stati Uniti.
Ha infatti preso in esame, come predatore, la pantera della Florida.
Questa è una delle prime specie aggiunte, nel 1973, all’elenco di quelle in via di estinzione degli Stati Uniti e potrebbe contribuire al controllo dei maiali selvatici.
Questi ultimi, infatti, sono ampiamente una delle specie invasive più distruttive negli Stati Uniti.
Causano infatti danni all’ecosistema, distruggendo i raccolti e cacciando animali come uccelli e anfibi fino all’estinzione.
I ricercatori illustrano come la reintroduzione della pantera della Florida potrebbe effettivamente fornire una soluzione naturale, efficiente ed economica per limitare l’ulteriore diffusione dei maiali selvatici.