Il cane che abbaia può diventare (suo malgrado) uno stalker

Secondo una recente sentenza il proprietario di un cane che abbaia incessantemente può essere considerato responsabile del reato di stalking condominiale. Vediamo perché.

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A cura di: Dott.ssa Paola Fossati

Cane che abbaia
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Sì, in alcuni casi il cane che abbaia può rappresentare stalking “a mezzo di animale”.

Lo ha stabilito una sentenza che ha ritenuto responsabile del reato di stalking condominiale il proprietario di tre Labrador, condannandolo a un anno e otto mesi di reclusione, oltre al risarcimento dei danni a favore dei vicini.

I cani erano stati lasciati costantemente in giardino e liberi di abbaiare senza sosta, anche nelle ore notturne, tanto che il vicino di casa aveva iniziato a vivere in un perenne stato d’ansia e si era visto costretto a modificare le proprie abitudini per proteggersi dal rumore esasperante.

Una totale noncuranza degli interessi altrui, quella del proprietario dei cani, estesa, dunque, fino al punto di giungere a rendere impossibile la vita nel vicinato, ponendo tre animali inconsapevoli nella posizione di diventare “persecutori”.

Cane che abbaia e disturbo della quiete pubblica

La decisione del giudice in questo caso è, effettivamente, estrema.

Il Codice penale, infatti, prevede il reato di disturbo della quiete pubblica (art. 659 C.p.), che punisce chiunque disturbi le occupazioni o il riposo delle persone, anche “non impedendo strepiti di animali”.

Se la lesione del diritto alla tranquillità e al riposo è dimostrata (anche con la misurazione dell’intensità del rumore prodotto, in decibel), l’inerzia del proprietario degli animali viene punita.

La sanzione penale prevede l’arresto fino a 3 mesi oppure un’ammenda fino a 309 euro, a cui può aggiungersi il risarcimento dei danni causati alle persone disturbate, che potranno richiederli in sede civile.

Questo comportamento è, dunque, considerato deplorevole tanto da essere un reato. Però, non grave al punto di causare una vera e propria persecuzione.

Il livello di tollerabilità del disturbo in base al luogo e all’orario

È da sottolineare, però, che il livello di disturbo deve superare la normale tollerabilità.

Significa che la legge prende atto che, quando si vive in una società, si deve mettere in conto che la presenza di altri possa “farsi sentire” e che questo non si possa evitare, ma debba essere sopportato vicendevolmente.

cane Can che abbaia verticale

Sempre che non diventi intollerabile, appunto. Quindi, quello che si può lamentare non deve essere un semplice fastidio, da considerare accettabile rispetto al contesto, ma bisogna dimostrare che sia stata superata la soglia di tale accettabilità.

Si tratta di un criterio che rende la tollerabilità un parametro non assoluto, perché variabile da luogo a luogo, in base alle caratteristiche della zona e alle attività e abitudini di chi ci vive.

Ad esempio, in campagna o in zone urbane residenziali, il rumore di fondo ineliminabile è meno intenso di quello che si percepisce nelle aree industriali o nei centri sovraffollati e pieni di traffico veicolare.

Pertanto, un’immissione sonora aggiuntiva risulterà più invasiva e fastidiosa nel primo scenario, rispetto al secondo, anche se avesse la medesima intensità.

Questo vale anche per l’orario in cui i rumori “extra” sono provocati.
Sono, infatti, particolarmente tutelati i momenti della giornata, come la prima mattina, le ore postprandiali e tutta la fascia notturna.

Durata del fastidio e numero di persone potenzialmente raggiunte

La tolleranza alla rumorosità deve essere parametrata anche alla durata del fastidio.

La giurisprudenza ha, nel tempo, precisato che il diritto alla tranquillità e al riposo si può considerare compromesso se il disturbo è intenso al punto tale da potersi estendere a un indeterminato numero di persone.

Non importa se ad essere effettivamente raggiunte siano solo poche.

In altre parole, il punto da dimostrare è che il rumore abbia la potenzialità di propagarsi in un raggio di spazio in cui potrebbero trovarsi molti esseri umani.

Si pensi, ad esempio, ai diversi piani di un condominio densamente abitato: non importa se, al momento in cui i rumori sono prodotti si trovino in casa solo pochi residenti, è sufficiente che il rumore raggiunga tutti o almeno la maggior parte dei piani e degli appartamenti affinché sia idoneo a creare un pericolo esteso.

Dunque, si può comprendere perché l’abbaiare di uno o più cani possa arrivare ad essere considerato una fonte di quel tipo di disturbo “pubblico” che la legge proibisce e punisce.

Oltre il concetto di disturbo

La sentenza sopra ricordata è andata però oltre il concetto di disturbo pubblico, riconoscendo nel fatto che tre cani erano stati lasciati da soli in giardino, liberi di abbaiare a oltranza, una violazione ben più grave e con una componente “persecutoria”.

Quest’ultima desumibile dall’aver consapevolmente consentito che i cani continuassero costantemente ad abbaiare, comportamento evidentemente lesivo della tranquillità altrui. Da qui l’accusa di stalking.

Il principio stabilito in questo caso è rilevante, se collegato alla gestione negligente di animali da compagnia, perché la riconduce alle condotte di minaccia o violenza che possono minare la libertà psichica o morale altrui, in modo reiterato (art. 612 bis C.p.).

Tra queste condotte sono elencate quelle che hanno l’effetto di “cagionare un perdurante e grave stato d’ansia” e di costringere chi la subisce ad “alterare le proprie abitudini di vita”.

Un effetto che ora sappiamo può essere provocato anche da un cane che abbaia incessantemente.

Can che abbaia proprietario

I proprietari sono avvisati: cane che abbaia

Il riconoscimento dello stalking “a mezzo di animale” in realtà non è totalmente inedito per la giurisprudenza.

Infatti, era già accaduto che la Cassazione lo confermasse nel comportamento della proprietaria di un gatto che gli consentiva di uscire e vagare incustodito nelle parti comuni del condominio, non impedendo che rilasciasse deiezioni e altre immissioni insopportabili e utilizzando cartelli con minacce e insulti contro i vicini che osavano lamentarsi (Cass. Pen. Sez. V, sent. N. 25097/20119).

Alla stessa conclusione, sempre la Suprema Corte era giunta esaminando il caso di un cane lasciato circolare per spaventare le bambine di una coppia di vicini allo scopo di costringerli a cambiare casa (Cass. Pen. Sez. V, sent. N. 1981/2019).

Ma anche valutando un altro contenzioso tra condomini, uno dei quali era proprietario di un Pitbull non adeguatamente custodito e che poteva così spingersi nella proprietà altrui suscitando allarme, ansia e danneggiando la qualità di vita (Cas. Pen. Sez. V, sent. N. 22124/2022).

Situazioni pesanti da sopportare, ma in qualche modo connesse anche a timori per la sicurezza e l’incolumità fisica delle parti offese.

Cosa che non si riscontra nel caso culminato nella pronuncia della sentenza che ha definito persecutorio il “semplice” abbaiare dei cani ossia proprio quell’espressione dell’etologia di specie che è, di fatto, un linguaggio e che altri giudici (Giudice di pace di Rovereto; Tribunale di Lanciano) avevano definito come un “diritto esistenziale” da riconoscere all’animale.

Sempre che non superi la normale tollerabilità.

Se il problema continua, è un problema

Un’osservazione, per concludere: l’abbaiare del cane non deve preoccupare quando è occasionale e fisiologico.

Invece, in presenza di vocalizzi eccessivi e continuati bisogna cercare di capirne il motivo, perché potrebbe trattarsi di un problema di salute psico-fisica dell’animale o di una questione di educazione alla quale si può provvedere.

Insomma, anche se il problema principale può sembrare degli “umani”, in realtà si dovrebbe dare la priorità a comprendere quale sia quello degli “animali”.

È una questione di serena convivenza, che, ricordiamo, anche quando non comprende un vero e proprio legame affettivo di vita in comune (è il caso del vicinato) non può prescindere dal reciproco rispetto.

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