Covid-19 e animali selvatici: il pericolo viene dagli esseri umani

La conferma del primo caso di SARS-CoV-2 in una tigre dello zoo del Bronx a NY impone anche a parchi e zoo italiani di proteggere i selvatici dal virus.

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Nadia, una tigre di quattro anni rinchiusa nello zoo del Bronx a New York, è il primo tra gli animali selvatici positivo al Covid-19. Ad annunciarlo è stato il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti d’America (USDA) lo scorso 6 aprile, dopo i risultati dei test effettuati sull’animale anestetizzato.

A fine marzo Nadia aveva iniziato a manifestare sintomi respiratori, in particolare tosse secca e scolo nasale, insieme a sua sorella, altre due tigri siberiane e tre leoni africani dello zoo.

Si ritiene che questi felini abbiano contratto il virus da uno dei loro guardiani affetto da Covid-19, ma asintomatico.

Questa è l’unica spiegazione ritenuta plausibile, poiché lo zoo è chiuso ai visitatori dal 16 marzo scorso.

Secondo Paul Calle, medico veterinario capo presso lo zoo del Bronx, attualmente
le condizioni di salute delle quattro tigri e dei tre leoni (anch’essi positivi al test), sono in via di miglioramento, mentre tutti gli atri grandi felini dello zoo, inclusi leopardi, ghepardi, un leopardo nebuloso, un leopardo dell’Amur e un puma, non presentano alcuna sintomatologia.

Covid-19 e animali selvatici: vittime e non veicoli d’infezione

Al momento non ci sono prove che gli animali domestici o selvatici in cattività possano trasmettere il Covid-19 alle persone, riferiscono l’USDA e i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (CDC) americani.

Per quanto ne sappiamo sinora, gli animali selvatici e domestici venuti in contatto con persone Covid-19 positivi, malate o meno, possono essere vicoli ciechi epidemiologici, senza presentare morbilità né rischi per chi li circonda.

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Ma possono contrarre il virus dagli esseri umani, e devono quindi essere protetti, in particolare i grandi felini e le grandi scimmie, che potrebbero essere molto suscettibili al nuovo coronavirus.

In un’intervista pubblicata sulla rivista “La Settimana Veterinaria”, il dott. Marco Campolo, Phd, vice-presidente della SIVASzoo (Società Italiana Veterinari Animali Selvatici e da Zoo) ha così affermato: “Ricordiamo che sono gli animali le vittime dell’infezione trasmessa dall’uomo e, al momento, le conoscenze scientifiche sono univoche nell’indicarci che la vera problematica in questa pandemia è la trasmissione fra uomini e non dagli animali agli uomini. Proprio per questo motivo, il protocollo della SIVASZoo mira a ridurre la possibilità di trasmissione dall’uomo agli animali, consigliando ad esempio ai keepers l’utilizzo di dispositivi di protezione nei confronti degli animali, l’interruzione del training, accorgimenti durante la catena di preparazione e distribuzione del cibo, ecc. In questo modo, il lavoro preventivo degli zoo e dei parchi – iniziato molto tempo prima di una prossima riapertura – e la nuova concezione dei reparti in cui vivono gli animali, che aumenta considerevolmente il loro spazio di vita e le distanze dal visitatore, assicureranno le opportune misure di sicurezza durante la visita in uno zoo o in un parco“.

FONTE: LaSettimanaVeterinaria

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