Volatili in città: quali sono i problemi da considerare e prevenire?

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A cura di: Prof. Agostino Macrì

volatili
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Sono ormai evidenti diversi casi in cui nelle città gli equilibri ambientali tra i volatili sono completamente saltati o quanto meno molto alterati.

In un passato non troppo lontano, i piccoli uccelli granivori e insettivori erano preponderanti e dovevano difendersi da pochi predatori, come ad esempio i falchi, che svolgevano l’importante funzione di mantenere “stabili” gli ecosistemi delle aree urbane e suburbane.

Merli, passeri, fringuelli, cardellini, rondini (nei periodi primaverili e estivi), animali notturni (pipistrelli, gufi, civette, allocchi), ma anche cornacchie, corvi, piccioni, ecc. si potevano trovare con frequenza nei parchi, nei giardini o svolazzanti nel cielo delle città.

Oggi, invece, in molti casi la situazione è diversa e a dominare la scena sono animali “predatori” che si trovano ai vertici della catena alimentare avicola.

Oltre all’abnorme crescita di uccelli autoctoni (gabbiani, piccioni, corvi, ecc.) in alcune città, come a Roma per esempio, c’è stata una invasione di pappagalli che si sono adattati ai nostri climi.

PERCHÉ SI È VERIFICATO?

È forse sufficientemente noto che a Venezia, in un lontano passato, venivano “lanciati” in città i piccioni per farli riprodurre con lo scopo primario di essere catturati e mangiati dai cittadini.

Qualcosa di analogo avveniva a Orvieto, dove sono state scavate delle grotte che in caso di assedio della città diventavano rifugio per i cittadini, ma che ospitavano anche piccionaie in cui allevare gli uccelli.

Questi ultimi infatti potevano volare nelle campagne dove trovavano da mangiare; ritornavano ai loro nidi nelle grotte dove divenivano cibo per gli orvietani.

Con il passare del tempo la necessità di mangiare i piccioni è venuta meno e, di conseguenza, questi volatili hanno avuto la possibilità di prosperare tranquillamente.

I gabbiani, invece, si sono spostati dalle zone costiere in città dove hanno trovato nei rifiuti alimentari umani cibo in abbondanza; in alcuni casi hanno letteralmente “colonizzato” le discariche.

Le mutate condizioni ambientali, poi, hanno giocato un ruolo importante nell’insediamento di colonie di pappagalli in ambiente urbano, situazione analoga a quella degli gli storni, molti soggetti dei quali da uccelli migratori sono divenuti stanziali.

Anche l’impiego – spesso sconsiderato – di pesticidi in città ha provocato alterazioni dell’ecosistema aviare urbano.

In agricoltura i pesticidi, almeno formalmente, possono essere impiegati soltanto se vengono rispettate precise norme tese a tutelare l’ambiente e la sicurezza degli alimenti prodotti.

Negli insediamenti urbani invece, per debellare insetti nocivi e parassiti (mosche, zanzare, pidocchi, tafani, ecc.) si ricorre a pesticidi di ogni genere.

I trattamenti sono in molti casi domestici, e possono interessare giardini privati, ma anche aree pubbliche (parchi, fontane, bordi delle strade, ecc.): non è raro vedere, soprattutto nei periodi tardo primaverili, “eroici” operatori comunali che, bardati di ogni sorta di protezione, irrorano i cespugli e tombini con misteriosi aerosol.

I risultati in effetti ci sono, perché per noi ci sono molti meno “fastidi”; il rovescio della medaglia è la forte diminuzione del cibo disponibile per i volatili insettivori: ad esempio, le rondini hanno sofferto di questa situazione, e in molte città la loro presenza si è rarefatta.

La contrazione degli animali che sono alla base della catena alimentare costringe dunque i predatori volatili a cercare fonti alternative di cibo.

Se in passato i soggetti da “predare” erano soprattutto i soggetti deboli e gli anziani, adesso i predatori hanno spostato la loro attenzione anche sui soggetti più giovani, se non addirittura sulle uova; ovviamente aumentando i predatori diminuiscono sensibilmente le popolazioni dei “predati”.

Alle volte nel cielo si scatenano delle battaglie aeree e non è raro assistere a lotte feroci che gabbiani o falchi ingaggiano con qualche storno che viene a trovarsi fuori dal suo stormo. Un altro aspetto da non sottovalutare, è la voracità di alcune specie.

Gli storni, ma soprattutto i pappagalli, sono onnivori particolarmente attratti anche da bacche, frutta e vegetali, e finiscono con il danneggiare i raccolti.

Basti pensare a cosa può succedere a un uliveto “aggredito” da uno stormo di storni, mentre prugne, albicocche, pere, cachi, gelsi, uva e altri frutti sono una ghiottoneria per i pappagalli, che riescono a spogliare gli alberi in tempi che dipendono dal numero di animali che partecipano al banchetto e dalla loro fame.

Un altro grosso problema legato alle alterate popolazioni di volatili in città è dato dalle deiezioni che imbrattano monumenti, abitazioni e, alle volte – come nel caso degli storni – anche le strade, rendendole viscide e pericolose soprattutto per chi viaggia con mezzi a due ruote.

Un ultimo aspetto, e forse il più grave, è il pericolo della diffusione di malattie infettive.

La facilità con cui i volatili si spostano rende facile il contatto e la diffusione nell’ambiente di microrganismi patogeni, che in tal modo possono raggiungere altri animali e in certi casi anche l’uomo.

Senza dover fare un elenco troppo lungo, basti pensare all’influenza aviaria, alle salmonellosi, alla coccidiosi, alle campilobatteriosi, senza dimenticare la psittacosi da cui – si spera – i pappagalli inurbati non vengano colpiti.

Dato il numero di specie coinvolte e la loro peculiare situazione, è impensabile realizzare con interventi di profilassi o terapeutici; se disgraziatamente dovesse comparire qualche zoonosi, diagnosi e ricerca della fonte di contagio potrebbero porre delle difficoltà.

E ALLORA COSA FARE CON I VOLATILI?

Mezzi per poter intervenire e ridurre il numero di uccelli sinantropi non ce ne sono molti, se non quello di limitare l’accesso agli alimenti.

Non si può neanche sperare in repentini abbassamenti della temperatura perché, come sembra avvenire per i pappagalli, molti uccelli si sono ormai adattati anche a temperature rigide.

Esiste poi una zoofilia molto diffusa, che di certo non aiuta a contrastare l’incremento delle popolazioni degli uccelli sinantropi, mentre i mezzi dissuasivi (rumori, immagini di animali predatori, ecc.) non sembra che abbiano fornito risultati apprezzabili, almeno per gli storni.

Auguriamoci che non compaiano delle zoonosi che obbligherebbero le autorità a prendere delle decisioni drastiche. Anche in questo campo i veterinari dovrebbero avere la possibilità di illustrare ai cittadini i potenziali pericoli legati all’eccessiva presenza di questi uccelli in ambiente urbano, e le organizzazioni che li rappresentano (Ordini, Sindacati, Società scientifiche e culturali, ecc.) dovrebbero dare il loro contributo. Ma questa resta solo una speranza.

FONTE: La Settimana Veterinaria

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