N/a’an ku sê Wildlife Sanctuary, il fiore all’occhiello della Namibia

Conservazione della fauna selvatica, protezione del suo habitat e tutela di una delle più antiche popolazioni africane: basterebbero già questi tre concetti per riassumere le finalità degli importanti progetti realizzati dalla N/a’an ku sê Foundation, nata nel 2006 in Namibia. Ma c’è molto di più.

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Agosto 2019. L’aereo compie un’ultima virata sull’immensa distesa arida che ricopre l’altopiano del Damaraland, prima di atterrare all’aeroporto di Windhoek. A un’ora di auto dalla capitale della Namibia, nel cuore del piccolo Stato dell’Africa meridionale, si trova il N/a’an ku sê Wildlife Sanctuary, una riserva di 3.200 ettari che offre un rifugio sicuro per gli animali selvatici a rischio e in difficoltà.

Come nasce il N/a’an ku sê Wildlife Sanctuary?

N/a’an ku sênato dall’idea di una giovane coppia namibiana, Marlice e Rudy van Vuuren, con un grande sogno nel cassetto: proteggere la vulnerabile fauna africana nel suo habitat e migliorare le condizioni di vita dei San, una delle popolazioni più antiche del mondo che vive in condizioni di indigenza.

Quando, nel 2006, acquistano la fattoria Frauenstein destinandone il terreno alla riserva, sono in molti a dubitare del successo di un’iniziativa tanto ambiziosa.

Ma l’impegno, la serietà e la determinazione con cui affrontano la sfida portano i loro frutti, e oggi il Wildlife Sanctuary è solo uno dei virtuosi progetti realizzati dalla N/a’an ku sê Foundation.

La coppia la gestisce grazie alle fondamentali donazioni dei finanziatori e all’importante lavoro di tutto lo staff e dei volontari provenienti da diversi Paesi.

Cambiare in modo sostenibile si può

Il santuario è divenuto oggi un importante punto di riferimento in Namibia, dove portare animali feriti, orfani, vittime di bracconaggio o di proprietari che li adottano come pet da cuccioli per poi abbandonarli una volta cresciuti.

Qui a N/a’an ku sê li accogliamo tutti -spiega il responsabile dei volontari Cornè – ma la nostra filosofia è molto semplice: ‘The wild belongs in the wild’.

Quindi cerchiamo di avere il minor numero possibile di animali in cattività, con il maggior numero possibile di animali riabilitati e liberati”.

Il problema principale per molte specie resta il conflitto con gli allevatori delle fattorie, che coprono il 70% del territorio di un Paese in gran parte desertico o semidesertico, con gravi problemi di siccità.

La maggior parte dei carnivori predatori (leopardi, ghepardi, iene, caracal, licaoni e sciacalli) vive al di fuori delle riserve, in territori che giocoforza si sovrappongono a quelli delle fattorie.

Se non trovano un numero sufficiente di prede per sfamarsi, attaccano il bestiame. Gli elefanti, d’altra parte, possono causare gravi danni alle strutture agricole, come le fonti d’acqua e le recinzioni.

Sino a non molti anni fa gli allevatori risolvevano il problema eliminando i predatori indiscriminatamente, con la conseguente drastica riduzione di alcune specie, oggi anche a rischio di estinzione.

Per risolvere il problema, N/a’an ku sê propone una via alternativa, mettendo a disposizione degli allevatori vere e proprie “unità di risposta rapida” che intervengono prontamente presso le fattorie in caso di necessità, informando i “farmers” sulle problematiche ecologiche legate alle specie selvatiche e sul loro insostituibile valore, offrendo loro soluzioni pratiche come il monitoraggio tramite GPS degli animali problematici sul loro territorio.

Questo approccio, volto a cambiare, oltre che le azioni, anche la mentalità dei proprietari terrieri, viene affiancato da uno scrupoloso lavoro di ricerca, portato avanti da biologi qualificati per approfondire la complessa ecologia della fauna selvatica africana.

Tre iniziative per educare, formare e informare

Tra le iniziative di N/a’an ku sê, alcune sono rivolte ad aiutare la popolazione dei San o Boscimani, i più antichi abitanti dell’Africa australe dove vivono da almeno 20.000 anni.

L’arrivo di popolazioni africane sedentarie prima e dell’uomo bianco poi, li ha decimati e costretti a vivere nel deserto del Kalahari, una delle regioni più povere del pianeta.

I San hanno problemi sanitari e occupazionali, e sono spesso vittime di malattie e alcoolismo.

Per questi motivi, all’interno della riserva sono attive la “Life Line Clinic”, una struttura che offre loro gratuitamente cure sanitarie di base, e la “Clever Cubs School”, destinata ai figli dei San impiegati nella riserva o che lavorano presso il “Charity Lodge”.

È questa una struttura turistica che dà loro lavoro e reimpiega i suoi profitti nei progetti della riserva, contribuendo nel contempo a sensibilizzare i visitatori su ciò che sta dietro le quinte del favoloso palcoscenico della natura namibiana. N/a’an ku sê si batte perché non vada perduto. A beneficio della Namibia e dell’intera umanità.

Redatto da: Mariarosa Cama

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