“Essere in buona salute fisica e mentale” è una delle condizioni necessarie affinché un animale sia in stato di benessere e non subisca quindi alcun tipo di maltrattamento animale.
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Quali sono gli atti che possono essere considerati “maltrattamento di animali”?
I maltrattamenti sono clinicamente classificati in quattro categorie, anche se possono mutualmente coesistere:
- Le negligenze, che rappresentano nell’animale come nell’uomo la grande maggioranza dei casi di maltrattamento;
- Le ferite non accidentali chiamate anche abusi fisici, che comprendono traumi, bruciature, ferite da arma da fuoco, annegamento, asfissia da strangolamento, avvelenamenti;
- Gli abusi sessuali, che concernono tutte le relazioni sessuali con un animale, qualunque sia la natura, violenta o no;
- Gli abusi psicologici responsabili di turbe emozionali quali ansia e depressione.
Da notare che le prime tre categorie hanno generalmente le medesime conseguenze.
Dal punto di vista regolamentare l’animale è un essere sensibile e deve essere messo, dal suo proprietario, nelle condizioni compatibili con gli imperativi biologici della sua specie (non farlo è dunque condannabile); è proibito esercitare maltrattamenti nei confronti degli animali domestici e degli animali selvatici domati o tenuti in cattività, come privarli di cibo o di acqua, dar loro un habitat o un ambiente inappropriato oppure utilizzare dispositivi di contenimento inappropriati o dannosi.
Il Codice penale distingue le violazioni non intenzionali alla vita e all’integrità degli animali, i maltrattamenti verso gli animali, le violazioni non intenzionali alla vita di un animale, le sevizie gravi o gli atti di crudeltà verso gli animali e l’abbandono degli animali.
Qual è la disciplina normativa che regola il maltrattamento animale?
Il reato di “maltrattamento di animali” è inserito nell’ambito del nuovo Titolo IX Bis “Dei delitti contro il sentimento per gli animali” ed è disciplinato dall’art. 544-ter Cp, che punisce “chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione a un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche” con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro (le pene sono state inasprite con l. n. 201/2010).
Il secondo comma dell’articolo in esame punisce, inoltre, per la prima volta, “chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate, ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi”.
Oltre al maltrattamento, è vietata, nell’art. 727 Cp, la detenzione non idonea dell’animale che provochi gravi sofferenze. Anche questo reato è perseguibile d’ufficio.
FONTE: La Settimana Veterinaria