Gatti liberi sul territorio: sono un costo o risorsa del paese?

La gestione della popolazione felina che vive in libertà implica l’adozione di misure che necessitano di finanze pubbliche e di risorse umane. Lavorare di programmazione e trasformare il problema in un’opportunità permette di superare le difficoltà e di creare una rete di attività utili sia ai felini, sia all’uomo.

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gatti liberi uccisione
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Negli ultimi anni si tende a parlare sempre più di “gatti liberi” e “randagismo” e, allo stato attuale, possiamo incontrare tre tipologie di gatti liberi: il gatto di casa che ha accesso agli spazi esterni della casa; il gatto vagante; il gatto rinselvatichito (gatto ferale).

Una reale distinzione risulta difficile e non consente di effettuare il censimento definito del numero di gatti liberi sul territorio realmente esistenti.

A pari passo con il sempre crescente numero di famiglie che decidono di adottare un gatto, aumentano anche il numero di abbandoni e, purtroppo, di eutanasie.

I gatti liberi abbandonati sul territorio, non solo si trovano costretti a vivere in una situazione lontana da quella alla quale erano stati abituati in casa (con conseguente influenza sul benessere animale), ma determinano anche diversi problemi di carattere sociosanitario poiché possono diventare serbatoio di patologie trasmissibili ad altri felini o all’uomo.

Gatti liberi: ma quanti sono?

La consistenza numerica dei gatti liberi non è accertata, nonostante questo numero sarebbe indispensabile per stabilire la programmazione degli interventi, lo stanziamento dei fondi per la realizzazione di opere pubbliche, il contenimento numerico e l’identificazione tramite microchip.

Esiste un dato ufficiale sui gatti liberi, che risale al 2006, quando sarebbero stati ben 2.604.379. A fronte di questo enorme numero di gatti liberi, le associazioni zoofile operanti sul territorio nazionale, unitamente ai Comuni, alle Asl e alla Polizia locale si trovano a dover far fronte a innumerevoli richieste di intervento che riguardano soprattutto l’abbandono di cucciolate, animali incidentati, malati o maltrattati.

La mortalità è generalmente alta: difficoltà di reperire cibo, malattie, forme parassitarie interne ed esterne, esposizione a fattori climatici ostili, maltrattamenti e avvelenamenti rappresentano gravissimi fattori di rischio che possono avere come conseguenza una aspettativa di vita molto bassa, soprattutto per i gattini.

Il randagismo rappresenta un grave problema per gli animali coinvolti. Non essendo sottoposti a controlli sanitari diventano un vero e proprio serbatoio di malattie infettive e infestive, oltre ad alimentare il fenomeno a causa della loro elevata prolificità.

Nel centro-Nord sono presenti 122 gattili, dove i gatti liberi possono essere mantenuti dopo la cattura.

Questi sarebbero inesistenti al Sud, dove si rileva anche una scarsa attenzione per le colonie feline e per la sterilizzazione dei gatti.

Per i cani e i gatti detenuti nelle strutture di accoglienza, anche in quelle ben gestite, la situazione è comunque critica, in mancanza di adozione, sono costretti a vivere in cattività il resto della loro vita.

Come intervenire?

Ogni anno il Ministero della Salute ripartisce tra le Regioni il fondo per la tutela del benessere e per la lotta all’abbandono degli animali da compagnia, istituito dalla Legge 14 agosto 1991 n. 281 che ha demandato alle singole Regioni il compito di istituire un fondo da destinarsi ai piani operativi di prevenzione del randagismo.

Tali piani comprendono principalmente: la promozione delle iscrizioni in anagrafe, il controllo della riproduzione e l’educazione a un corretto rapporto uomo-animale.

Una buona strategia di intervento prevede il coinvolgimento e la collaborazione di tutti gli attori interessati alla gestione del fenomeno (Regioni, Comuni, Asl, veterinari liberi professionisti, associazioni zoofile e cittadini).

Per contrastare efficacemente il fenomeno del randagismo è necessario uscire dalla logica dell’emergenza e lavorare in maniera programmatica.

Quali sono i compiti?

compito dei Comuni, singoli o associati, e delle Comunità montane di dotarsi di strutture di ricovero per animali d’affezione catturati o raccolti.

Con il Dgr 21 maggio 2015 – n. X/3611 è stato approvato il nuovo Piano regionale triennale 2015-2017 che ha individuato come obiettivo la realizzazione di strutture pubbliche (gattili e/o c.d. oasi feline) tramite ristrutturazione delle strutture esistenti o, in alternativa e se necessario, tramite costruzione di nuove strutture pubbliche di ricovero per gatti, privilegiando le proposte intercomunali o provinciali, gestite dai Comuni stessi o in convenzione con Enti pubblici, anche a livello di Ambiti di Piani di zona, o con associazioni e cooperative sociali con il seguente scopo:

assicurare il ricovero di gatti in difficoltà, non di proprietà nota, in genere dopo gli interventi di pronto soccorso finalizzati alla stabilizzazione perché ritrovati feriti o gravemente ammalati, al fine di garantire loro il proseguimento delle cure e delle terapie e il loro mantenimento, quando necessario, in strutture comunque protette e adeguate allo scopo per un periodo di tempo congruo alle specifiche necessità del singolo soggetto;

facilitare l’affido dei soggetti ristabiliti, se non già appartenenti a colonie feline formalmente censite nelle quali, in tal caso, andranno ricollocati;

consentire per i gatti – che non appartengano a colonie feline censite, comunque ormai ristabiliti e per i quali non sia stato ancora possibile giungere ad affido – una soluzione diversa dall’immissione nella colonia felina più vicina al punto dell’avvenuto ritrovamento del soggetto, garantendogli così la possibilità di trovare rifugio e sostentamento in una struttura comunque protetta, in un habitat idoneo, ma diverso da un “gattile” propriamente detto (c.d. oasi feline).

FONTE: La Settimana Veterinaria

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