Un animale da compagnia è un bene di consumo?

Una recente sentenza della Corte di Cassazione equipara gli animali da compagnia a “beni di consumo”, considerando prevalente la disciplina del Codice del consumo su quella del Codice civile.

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A cura di: Dott.ssa Paola Fossati

animale da compagnia
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Un animale da compagnia, con riferimento al valore affettivo che riveste, non dovrebbe avere un prezzo. In realtà, è noto che gli animali possono essere comprati, come avviene per gli oggetti.

Secondo una recente pronuncia della Corte di Cassazione, questo concetto deve essere portato all’estrema conseguenza di considerarli “beni di consumo”.

La classificazione giuridica degli animali li vede inseriti nella categoria dei beni mobili. Per questo motivo, è possibile acquisirne la proprietà, mediante compravendita.

Qualora si riscontri che un animale è “difettoso”, cioè che ha una o più di quelle imperfezioni che la legge considera “vizi”, si può far valere la garanzia prevista dalla legge stessa a tutela del compratore.

Esempi di vizi a carico degli animali sono rappresentati dalle malattie congenite e non ancora manifestate (occulte) o da patologie infettive.

In caso si rilevi un vizio, il Codice civile stabilisce che il compratore possa domandare, a sua scelta, restituire l’animale e ricevendo il rimborso del prezzo d’acquisto oppure una riduzione del prezzo pagato.

È importante sottolineare che, per far valere la garanzia, è indispensabile rispettare i tempi previsti per la denuncia dei vizi al venditore.

UNA SENTENZA RIVOLUZIONARIA

In tempi recenti la Corte di Cassazione ha rivoluzionato l’applicazione di questa disciplina alla compravendita di animali, affermando che l’acquisto di un animale da compagnia è soggetto alle diverse norme stabilite dal Codice del consumo.

Con la sentenza n. 22728/2018, infatti, la II Sezione della Corte di Cassazione Civile ha affrontato una controversia originata da un contratto di compravendita avente a oggetto un cane, concludendo che la stessa dovesse essere definita applicando l’art. 132 del Codice del Consumo, in base al quale il venditore è responsabile dei difetti del bene venduto, quando questi si manifestano entro il termine di due anni dalla consegna del bene e sono denunciati dal compratore entro due mesi dalla data in cui li ha scoperti.

Nella sentenza, la Suprema Corte ha confermato che la persona fisica che acquista un animale da compagnia, al fine di destinarlo alla soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee a qualsivoglia attività imprenditoriale o professionale, deve essere qualificata a tutti gli effetti “consumatore” e che l’animale da compagnia, quale “cosa mobile” in senso giuridico, costituisce “bene di consumo”.

In altri termini, nella compravendita di animali da compagnia, la disciplina del Codice del consumo deve essere considerata prevalente su quella del Codice civile, per cui all’acquirente deve essere accordata la maggior tutela riconosciuta da tale ultimo Codice, quando risultino sussistenti i presupposti per la sua applicabilità.

Se è così, allora, speriamo che questa sentenza non sia un passo verso un orientamento a equiparare il cane a un tostapane, ma piuttosto che prevalga nel diritto vivente la consapevolezza che l’evoluzione del diritto codificato sta già imponendo di interagire con il mutamento giuridico che ha portato al riconoscimento degli animali come “esseri senzienti”.

FONTE: LaSettimanaVeterinaria

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