Il Dolore Animale

Finalmente, da qualche decennio, nel mondo medico si sta cominciando a parlare di dolore non più solo come sintomo conseguente ad una patologia, ma anche in termini di vera e propria patologia a sé stante (il così detto “dolore-malattia”), svincolata da una causa primaria che lo ha provocato, e come tale oggetto di una diagnosi e di una terapia mirata.

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A cura di: Prof.ssa Giorgia Della Rocca

dolore animale
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Se ne è cominciato a parlare prima in medicina umana e, con la nascita degli “ospedali senza dolore” e di centri specialistici per la cura del dolore, si è sancita l’esistenza di una nuova disciplina per molto tempo poco (se non per nulla) considerata: l’algologia.

Negli ultimi anni, con la presa di coscienza da parte della comunità scientifica che gli animali, possedendo tutte le componenti neuroanatomiche e neurofisiologiche necessarie all’elaborazione di uno stimolo algico, possono, al pari dell’uomo, percepire il dolore a livello cosciente e non solo come stimolo riflesso, il dolore è stato incluso tra i principali segni vitali (polso, respiro, temperatura, dolore) e menzionato tra le 5 libertà elencate nel Brambell Report per la tutela del benessere animale (libertà dalla sete, dalla fame e dalla cattiva nutrizione, libertà dai disagi ambientali, libertà dal dolore, dalle ferite e dalle malattie, libertà di poter manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifiche, libertà dalla paura e dallo stress).

Ma perché parlare di dolore animale? Perché dare tanta importanza alla sua identificazione, alla diagnosi della causa che ne determina l’origine, ai processi fisiopatologici che ne condizionano lo sviluppo (in termini di entità, localizzazione e soprattutto tipo) e, soprattutto, alla sua terapia?

In caso di dolore acuto particolarmente severo, quale quello che può fare seguito, in assenza di una opportuna terapia analgesica, ad un intervento chirurgico invasivo, ad un trauma importante, ad una patologia infiammatoria estesa, l’organismo risponde con una complessa sequela di eventi che può esitare in una seria alterazione della funzionalità di numerosi organi e apparati (cardiocircolatorio, respiratorio, digerente, muscolare, nervoso, ormonale e immunitario), con importanti ripercussioni sulla possibilità/velocità di guarigione dell’animale e che possono portare, nei casi più gravi, anche alla morte del soggetto.

Oltre alle problematiche citate, responsabili dell’insorgenza di dolore acuto, ve ne sono altre, come ad esempio patologie croniche quali osteoartrosi, tumori, lesioni nervose, che possono dare origine ad un dolore persistente, ovvero non suscettibile di risolversi con la guarigione del danno (trattandosi di una patologia cronica, non è possibile la sua risoluzione).

Il dolore persistente in genere non raggiunge la severità che può talvolta caratterizzare quello acuto, non avendo di conseguenza quell’impatto negativo sui vari organi e apparati di cui si è accennato precedentemente.

Tuttavia, un dolore persistente si ripercuote in maniera importante sul benessere dell’animale e sulla sua qualità della vita, dal momento che si rende responsabile di disturbi dell’appetito (l’animale mangia più svogliatamente), perdita di peso (che fa seguito al ridotto introito di cibo e acqua), disturbi del sonno (l’animale si sveglia spesso durante la notte, passeggia per la casa, si lamenta), riduzione o assenza di attività e ridotto interesse per l’ambiente circostante (non ama più giocare, fare passeggiate, interagire con i proprietari o con gli altri animali della casa), stipsi (per ridotta attività fisica), fino anche a disturbi dell’umore (quali aggressività o, più frequentemente, depressione).

È importante, inoltre, sapere che il dolore, quando non trattato adeguatamente, può comportare l’instaurarsi di modificazioni sia funzionali che morfologiche di quella parte di sistema nervoso preposta alla processazione degli stimoli dolorifici; queste modificazioni fanno si che tale sistema si attivi anche in seguito a stimoli dolorosi lievi o addirittura innocui (si pensi a quanto fa male se si urta, o in certi casi semplicemente si sfiora, una parte del corpo dove c’è una lesione).

Se solitamente con la guarigione del danno tali modificazioni tendono a regredire fino a scomparire, con conseguente cessazione del dolore, in alcuni casi possono invece risultare irreversibili, comportando la perdita di quelle caratteristiche di transitorietà e di autolimitazione che normalmente caratterizzano un dolore acuto di moderata intensità.

In altre parole, può avvenire che un insulto algico di una certa entità e/o persistenza comporti l’instaurarsi di variazioni a lungo termine a carico del sistema nervoso periferico e centrale.

Queste modificazioni sanciscono il passaggio del dolore da adattativo (con finalità protettive) a maladattativo (privo di qualsiasi funzione biologica, debilitante e responsabile di un impatto significativo sulla qualità della vita del paziente).

Se si cessa quindi di considerare il dolore semplicemente come un sintomo e si riflette sulle conseguenze cliniche che esso può determinare, sia in termini di ripercussioni immediate su vari sistemi e apparati dell’organismo, che di modificazioni plastiche a carico del sistema nervoso che si possono rendere responsabili non solo di un aumento della sensibilità agli stimoli dolorifici da parte del sistema nervoso, ma anche della sua eventuale cronicizzazione, si comprende perché sia così importante, in alcuni casi, attribuire al dolore la connotazione di una patologia vera e propria, che come tale necessità di una tempestiva diagnosi e di un opportuno trattamento.

Mettere in atto una terapia antalgica diventa dunque un imperativo non solo etico e morale, ma anche clinico, dal momento che così facendo si riducono i tempi di ricovero, si evita l’insorgenza di eventuali complicazioni, si affretta la guarigione dell’animale e si evita la cronicizzazione del dolore (che diventa meno facilmente responsivo ai trattamenti).

Dal momento che gli animali non sono in grado di dirci se, dove e quanto hanno male, è molto importante saper identificare quei segni, caratterizzati da tutta una serie di modificazioni psicomotorie e di particolari espressioni, che possono accompagnarsi alla presenza di dolore.

Sta dunque al Medico veterinario, ma anche (e talvolta soprattutto) al proprietario, che può controllare il proprio animale nel suo ambiente di vita, evidenziare tempestivamente la presenza di tali segni, in modo da poter garantire la messa in atto di un’altrettanto tempestiva terapia antalgica.

Quasi tutto quello che può essere fatto nell’uomo, in termini di strategie per il controllo del dolore e della sofferenza, può essere attuato anche nei nostri animali.

La scelta del protocollo terapeutico, comprendente farmaci analgesici ed eventuali terapie complementari non farmacologiche, spetta sempre al Medico veterinario e va fatta sulla base del tipo, dell’intensità e della durata del dolore presente.

Una buona comunicazione tra Medico veterinario e proprietario può favorire e rapidizzare tutto il processo diagnostico e terapeutico, a tutto vantaggio del benessere dell’animale e della sua qualità di vita.

A cura della Prof.ssa Giorgia Della Rocca

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